Manifesto della Dieta Mediterranea

Cibo, Cultura, Benessere

Edizione n°1 – Maggio 2024

È famosa la frase del filosofo tedesco Ludwig Feuerbach: “l’uomo è ciò che mangia”. Nelle intenzioni strettamente connessa ad una visione materialistica della vita, in realtà apre ad orizzonti ben più ampi. Questo “Manifesto della Dieta Mediterranea” aiuta a definirli e renderli base per la nostra identità ma anche di un’idea di società, di economia, di futuro. Nel Mediterraneo, ed in particolare in Italia, il rapporto tra cibo, alimentazione, relazioni e scambi culturali ha attraversato e accompagnato la nostra storia. Per questo è giusto parlare di un Manifesto orientato alla pace.

Il nostro modello agricolo ha determinato, talvolta in maniera poco percepita e valorizzata, il nostro percorso nei millenni. Ed oggi la dieta mediterranea è parte di un’economia e una società più a misura d’uomo e per questo più capace di affrontare le sfide che abbiamo davanti, a cominciare dalla crisi climatica. Come ci invita a fare il Manifesto di Assisi promosso, insieme a padre Enzo Fortunato, dalla Fondazione Symbola e dal Sacro Convento.

Non si tratta però solo di fronteggiare i problemi aperti, dal mutamento del clima che impatta sulle coltivazioni e sugli equilibri ecologici del mare, alla carenza di acqua e al moltiplicarsi di fenomeni meteorologici estremi, all’arrivo di nuove malattie. Dobbiamo trarre forza proprio dalla nostra storia e dal patrimonio culturale per difendere, innovando, i fondamenti della nostra coesione sociale, delle nostre comunità. Perché, come diceva Mahler, “tradizione non è culto delle ceneri ma custodia del fuoco”. È un obiettivo che aveva ben chiaro il mio amico Angelo Vassallo, sindaco di Pollica, che fu determinante nell’individuare la dieta mediterranea come patrimonio immateriale dell’Unesco. Nel suo percorso di difesa della legalità e dell’ambiente e per la promozione del suo territorio, fatto di tante iniziative concrete ed efficaci, il riconoscimento della dieta mediterranea rappresentava e rappresenta un orizzonte simbolico e mobilitante. Ed è una ferita per tutti che il suo omicidio sia ancora impunito.

Le produzioni di qualità, connesse alla Dieta Mediterranea, sono oggi una parte importante della nostra economia, rappresentano un riferimento, insieme ad altri settori del Made in Italy, di un’Italia che fa l’Italia che parla al mondo continuando, come sosteneva Carlo Maria Cipolla, a “produrre all’ombra dei campanili cose belle che piacciono al mondo”. Per non parlare del ruolo fondamentale svolto da tante coltivazioni nel disegnare i nostri straordinari paesaggi: basti pensare alle nostre vigne, agli ulivi o alla fioritura delle lenticchie a Castelluccio di Norcia. E spesso proprio le produzioni agricole di qualità sono essenziali per l’economia, l’identità e la vita dei nostri piccoli comuni, che rappresentano tanta parte del nostro territorio. Secondo un’indagine portata avanti dalla Fondazione Symbola insieme a Coldiretti, il 92% delle DOP e IGP, di cui siamo leader mondiali, sono legate proprio al territorio dei piccoli comuni. Un ragionamento analogo vale anche per i nostri vini, che sempre più si rinnovano anche con il patrimonio costituito dai vitigni autoctoni, figli di una civilizzazione antica e orgogliosa.

Anche per questo è necessario, come è scritto nel Manifesto, difendere la Dieta Mediterranea da mistificazioni diffuse come quelle legate all’Italian sounding o da tentativi di omologazione che ne utilizzano le stesse denominazioni senza legami con comunità e territori.

C’è davanti a noi lo spazio per una grande impresa comune per dare futuro, forza e bellezza ad una nuova idea di economia e di relazioni. Tenendo insieme la concretezza di tanti punti del Manifesto e una visione in grado di mobilitare imprese e persone. Perché per dirla con una metafora antica legata alla navigazione proposta dall’autore del Piccolo Principe, Antoine de Saint-Exupery “se vuoi costruire una nave, non radunare uomini solo per raccogliere il legno e distribuire i compiti, ma insegna loro la nostalgia del mare ampio e infinito”.

Ermete Realacci
Presidente Fondazione Symbola